lunedì 26 febbraio 2018

Micromesh


In passato mi sono già occupato del recupero dei bocchini “ossidati” dal tempo e mi sembra doveroso tornare sull’argomento occupandomi di un’altra questione strettamente connessa al restauro dell’ebanite: quella relativa alle carte abrasive. 
Quando ci accorgiamo che il nostro “stem” é ormai diventato verdognolo e ben distante dallo splendore dei giorni d’acquisto ci resta una sola cosa da fare: sottoporlo ad un adeguato processo di lucidatura. 
Naturalmente ho già affrontato e approfondito questo argomento quindi saprete benissimo che per il sottoscritto l’unico sistema veramente efficace é rappresentato dall’impiego di paste solide (compounds) e dischi da montare su un motore (o in alternativa su di un trapano con velocità regolabile dotato di supporto da banco). Altre strade percorribili non ce ne sono, sconsiglio vivamente di spender tempo e denaro con paste miracolose, dentifrici, bicarbonato, limette per unghie, Sidol e altre cose di questo genere: se avete un po’ di manualità e voglia di imparare munitevi dello stretto necessario e vedrete che con un minimo d’esperienza riuscirete nell’intento. 

Esiste però un altro aspetto da non sottovalutare assolutamente cioè quello delle carte abrasive. Si, perchè a volte, quando l’ossidazione della nostra ebanite raggiunge uno stato avanzato, si rende necessaria una preventiva e adeguata carteggiatura. 
In molti mi chiedono quali tipologie di carte abrasive utilizzare dato che in linea di massima ne servirebbero (a mio parere) almeno di tre gradazioni differenti. 
Per rendere le cose più semplici tendo a consigliare l’utilizzo delle ormai celebri “micromesh”. 
Ma cosa sarebbero con esattezza?
Le micromesh non sono altro che pads di abrasiva double-face, vendute online in svariati set (piuttosto economici) contenenti una gradazione crescente di carte. 
Ogni singolo pad é realizzato internamente da un materiale piuttosto morbido e flessibile (che ci permette di lavorare evitando di fare una pressione troppo aggressiva sull’oggetto) ed é caratterizzato da un colore specifico così da poterne definire la grana. Con i ripetuti utilizzi questa colorazione esterna tenderà a sparire quindi consiglio di segnare con un pennarello il numero progressivo di riferimento su ogni pad così da evitare future confusioni. 
Il set da me adoperato contiene al suo interno nove pad e a seguire allego il depliant con le relative gradazioni:


Per restaurare un bocchino dunque conviene preventivamente carteggiarlo delicatamente partendo dalla grana più grossolana (in questo caso la 1500) per poi arrivare fino alla 12000. 
I passaggi con le carte intermedie sono da ritenersi tutti necessari? Assolutamente no... Ma se siete poco avvezzi a lavori di questo genere vi consiglio comunque di utilizzarle tutte in modo crescente: così facendo avrete la certezza di arrivare all’ultimo passaggio senza aver lasciato segni troppo marcati sul bocchino. 
Solamente dopo il lavoro con le micromesh si fa necessario l’utilizzo dei dischi.
Sul web si é diffusa la convinzione che questi piccoli pad bastino da soli a far risplendere a dovere un’ebanite ricoperta da affiorescenze di zolfo... Bene, nulla di più errato: sono utili e pratici ma per esperienza diretta vi posso assicurare che non é affatto così, possono darci una grande mano ma alla fine l’utilizzo delle paste solide accoppiate alle rotazioni di un buon disco in cotone é essenziale per riportare il bocchino a luccicare letteralmente. Altri sistemi non esistono (a meno che non ci si voglia accontentare). 
Quindi, giungendo a conclusione ribadisco l’utilità delle micromesh ma esclusivamente come strumenti d’applicazione “intermedia”, da adoperare in modo crescente e con una certa delicatezza. 
Ridare nuova vita all’ebanite non é affato difficile se si hanno a disposizione la voglia, il tempo e i piccoli elementi necessari.

A seguire altri due articoli pubblicati in precedenza e dedicati al restauro dei bocchini in ebanite: